Post-it Sophia – Preghiera dell’addio – di Enrica Alpi
Un rimbalzare di pensieri scuotono sonori il silenzio.
Invisibili battenti, sono bussi muro per muro,
in quel fitto di case che vortica di pieta intorno a me.
Parole partono, parole tornano.
Ascolto, mentre fluttuano in un battello targato paura, speranza.
È forse il bagliore che parla dalle finestre illuminate? Sono io? Quale luogo?
Bisbiglio, urlo, richiamo, eco? È talmente buio da non potersene accorgere.
Bianche le luci dei lampioni, profilano le ombre. Illusione di un orizzonte
già finito, sprofondato nel sorgere di un’alba rovesciata. Vibra un riflesso sulla lama della spada.
Cammino lungo una strada mascherata di grigio, cammino sulla coltre di eleganti foglie
ancora gialle di sole, ancora rosse di sangue d’autunno e di nuova muta.
Attenuante di strazi troppo intensi per potere essere ancora lasciati vagare nel sentire.
Spezzare. Il gesto decide istantaneo l’altrove.
Vagabondaggio di solitudine disperata, mentre una lacrima scende
vorticosamente dentro la terra. E scolpisce gli occhi, le guance, brucia di
sale mentre l’impetuoso singhiozzo diventa un inconsolabile grido.
Ed una preghiera senza meta si appiglia alla forza senza angustia.
Prego porgendo la mano.
Fantasia indefinita.
Nessun divieto nella dolcezza del sentire che la pancia è un’immensa esplosione di colori.
Vaghi dipinti, colori estenuati, indecifrabili bellezze dell’istinto divino.
Suoni, musica, note.
Perché interrompere un sorriso?
Nascerà un fiore tra il groviglio dei picchi e scogliera.
E lo sguardo nero di un venuto da terre d’oltremare mi consegna l’Africa, i suoi colori e le sue
inquietudini.
Generosamente principe. Alla corte del nulla e del cielo.
Nessun serpente con le sue trame avvelena un destino.
L’eternità dell’osso sbeffeggia il violento alchimista.
L’impudenza del ricco che gioca tirando monete alla forza di un guerriero e soggiace allo scudo di venti
selvaggi, giunti a sorpresa.
Sfumo nel cielo, nella notte, nel racconto di stelle di archi celesti e arcieri rapitore di sguardi.
Ti prego, lacrima, portami nel sogno ancor prima che io sia.