Avvent(o)ura – di Mariangela Venezia

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Contorci le membra, marmoree e assolate, ti guardi dall’alto in prospettiva parziale. Scrutando il marcio in ogni dettaglio respingi il colore, l’abbozzo. L’originale assoluto del corpo stranisce. Si intrecciano germogli intorno all’ombelico, temi le fioriture fuori stagione, copri i petali di lana pesante, nascondendo l’odore a chi osserva stupito.
Raccontano di una trasformazione irreversibile, di pelle mutata, di squame cadute, di gusci svuotati e diventati cotone, di muscoli smemorati che scordano le origini. Si narra di un varco sotto il costato, un muro abbattuto, un armadio spostato, di una casa svuotata in cui rimbombano i passi, di una vita sottile perduta per sempre, di ferite cucite senza lungimiranza, dello sconquasso di sangue, di fibre e di ossa. Persino il cervello si restringe e si vuota, le sinapsi risparmiano elettricità, selezionano impulsi, tagliano fili. Il superfluo del sogno si piaga al necessario della paura. Che il corpo si sgretoli al sole, che ceda, si rompa, si rifletta in un errore.

Ciò che un tempo ha nutrito, rotondo e succoso, pulsa dolente, sfilaccia un presagio di morte. Stravolto il tuo essere rinascerà migliore, sdoppiato e odoroso di infanzia e risate, espanso a cingere tutti i pianeti, acuto e centrato.
Eppure ti annusi, animale straniero, travolta d’istinto e furor di battaglia. Le gambe tremano al sentore del pericolo, il battito accelera a ogni macchia sul manto acerbo. Avanzi notturna, sospesa e guardinga, attenta al suono di un passo ormai ignoto. Riempi il nero di graffi.

Primitiva e ferina arrivi da lontano, dal tempo del sogno e del sentire assoluto, dimentica dei codici, scarna nel linguaggio, ti lanci e dilani le altre bestie. Se il corpo è forza è forza di guerra, se è coraggio è difesa, se è fermezza è paura di perdere.
Un viaggio accidentato verso nuove confidenze, tentativo quotidiano di trovare fiducia. La gamba è uno spillo, le vertebre scricchiolano, scruti con sospetto viscere e sangue. Il corpo si aggiusta, cerca altre strade, l’estetica si nutre di fantasie inedite. Si nasconde, poi si mostra, poi fa solo capolino, si racconta favole a cui non crede nessuno. Il tuo corpo è il vero bambino.

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