All rights reserved©Archivio Francesco Saba Sardi
Racconto tratto da, La parte oscura, La nave di Bes Edizioni
Pirano, Istria,Slovenia
Lane
La casa dove abita Rosa Patrizia è a pianta circolare. Modernissima, disegnata da un noto architetto. In un bel giardino pluricondominiale. Grandi vetrate. Riscaldamento a pannelli radianti. Vasto divano di pelle candida. Sobri tappeti. Poltrone di cuoio e acciaio. Tapparelle telecomandate. Garage. Marito medico (primario, ospedale; ma anche: socio fondatore di una clinica privata). Mercedes. Fuoristrada giapponese. Auto piccola, carina, per la signora. Bambino (anni quattro. Gianfederico. Molti peluches. Automobiline meccaniche. Robots). Bambinaia. Cameriera con crestina e grembiulino bianco. Domestica, agiata felicità. Qualche viaggio. (Uno in Australia. Rosa patrizia ha incontrato un indigeno. Puzzava).
Rosa patrizia è titolare di un negozio di lane sul corso di questa serena città settentrionale. Non potrebbe fare la vita da casalinga. Ha studiato dalle Orsoline. Due anni alla Cattolica. Poi il matrimonio, e si sa. È arrivato Gianfederico. Sposata in chiesetta con campanilino e vista sul lago. Giandomenico in tight, lei in abito bianco. Fiori d’arancio. Maggio, mese delle spose. Buone letture, persino qualche saggio storico. Napoleone, per esempio. Televisori tre. Uno nella cameretta (in realtà piccola reggia) di Gianfederico. Che frequenta un asilo “com il fò”. (Rosa Patrizia ha studiato francese. Certo che le lingue imparate a scuola un po’ si perdono, ma qualcosa resta, anche se un po’ impreciso. Come “scerì” e “nespà”. Vezzi).
Negozio con due luci. Tra l’una e l’altra, l’ingresso. Campanello. Clientela scelta. Le lane migliori. Persino di alpaca e di lama. Di pecore delle isole Orcadi. Dell’Islanda. Lassù, grandi freddi ma verdi pascoli. Geyser. Ghiaccio. Brr. Scaffali in mogano. Un tavolone del Sei. Comode poltroncine. Morbidezza. Le lane sono sospiri. Aeree. Colori tenui. Impalpabili. Commesse (due) di dita gentili. Guanti di filo, calze nere, mezzi tacchi. Lampadarietto di Murano (colori discreti). Discrete le appliques. Un abat-jour sul grande tavolo del Sei. Paralume rosa pallido (detto, per vezzo, cappellina).
Poiché le vetrine sono un po’ di sbieco, da quella di sinistra, per chi entra, si vede la grande piazza e uno spigolo della cattedrale. Mattoni e marmi candidi. Statuari santi sopra il frontone. Colonnato (neoclassico).
Rosa Patrizia certi pomeriggi d’estate entra, si siede su un banco. Non prega. Medita. (A casa, hatha yoga, che vuol dire del respiro. Ha imparato la respirazione addominale quando aspettava). Persuasa a farlo dalla forza del sole che penetra festoso, incosciente. Ma dentro, angeli con ali da lepidotteri fanno frescura e silenzio. Aggraziati strumenti della fede. Che va rispettata. A messa la domenica. Gianfederico battezzato dal vescovo.
Ha suonato. Rosa Patrizia era sola in negozio. È entrato un signore. Alto, distinto. Però molto pallido. Il colore del volto, delle mani, le ha ricordato quello di altri lepidotteri. Carini, certo, ma così ghiotti di lane! Il signore si è guardato lentamente attorno. Ha accarezzato, con occhi appena più scuri della pelle, occhi che sembravano ricoperti di trasparenti scaglie, le lane sugli eleganti scaffali. Matasse, matassine. Si è chinato sul tavolone del Sei. Un istante, più che altro un saluto, una curiosità. Forse un sorriso. È uscito.
È tornato. Nell’ora in cui Rosa Patrizia è sola, dopo le sue due foglie di insalata nel bar di fronte, il migliore del borgo (e dei dintorni). Tavola calda e fredda, sceltissima. La conoscono. Sanno che è una distinta signora impegnata. La servono con gesti rapidi, discreti. Una spremuta di pompelmo. Rosa patrizia non ha problemi di linea, ma ama stare leggera. Il signore si è guardato attorno. Lente occhiate carezzevoli alle belle lane. Lieve inchino. Via. Chissà se ritorna.
È tornato. Questa volta ha proteso la mano pallida a toccare una, due matassine. Le lane hanno avuto come un brivido. È uscito, in silenzio. Dopo un inchino un po’ più profondo, quasi a sfiorare con la fronte immacolata il tavolone del Sei. Ha guardato Rosa Patrizia. Non con intensità, un istante solo. Ma anche lei ha avuto un brivido. Di piacere, come le lane, le buone lane così pure, così innocenti.
Il signore è tornato. Più magro, più diafano. Quasi aleggiasse, quasi non toccasse terra. Come se avesse ali trasparenti, invisibili. Pure ha diffuso frescura, il silenzio delle cose sacre. Come una santità.
È tornato. Si è chinato, quasi volesse osservare da vicino le mani che Rosa Patrizia teneva sul ripiano, percorse da un lievissimo tremito. Speriamo che ritorni.
È riapparso, un filino d’aria. Questa volta ha fissato Rosa Patrizia. Lei ha sbattuto le palpebre. Elitre. Si?, le ha chiesto mutamente. E le ha accarezzato le mani, il tocco di un fiore impalpabile. Una matassina di lana si è mossa sullo scaffale, sfacendosi, sfarinandosi piano.
L’ha presa per mano. Rosa Patrizia l’ha seguito. Con lui è entrata in una matassa che aveva lo stesso colore del suo nome. Ha udito un frullo d’ali – le sue? O quelle di lui? La lana ha un sentore come di cose antiche, pasticcini da mordicchiare, calici di fiori da suggere. Rosa Patrizia non ha bisogno d’altro.