All rights reserved©Piotr J. Cohen
Collezione privata
Piotr J. Cohen, Sena titolo, 1964
Nato a Cracovia nel 1939, pittore, scultore, poeta e apolide, Piotr J. Cohen attraversa l’Europa sostenuto dalle finanze del padre, Aleksander Cohen, ingegnere civile appassionato di storia naturale e musica classica. Decide di sostenere il figlio, che da sempre ha mostrato uno spiccato interesse, tramutatosi successivamente in vero e proprio mestiere, per ogni forma d’arte.
La sua opera non necessita di presentazioni, si conosce fin troppo bene il clima e l’atmosfera, l’intensità emotiva e l’energia del movimento conosciuto come espressionismo astratto in America. Gli esordi di Cohen poeta invece furono in Polonia, periodo di cui si conosce ancora troppo poco: molti dei suoi scritti non sono pervenuti, e questo fatto ha rafforzato la leggenda attorno alla sua poesia surreale e anarchica per certi versi allucinata e luciferina. C’è un vero e proprio alone di mistero su Cohen poeta, anche perché fu lui il primo che non volle mai incoraggiare la diffusione dei suoi versi.
Ma torniamo al periodo americano: sappiamo bene che la sua estetica fu per tutto quel periodo antifigurativa, ha conservato lo stigma dell’astrazione delle scuole d’arte Europee. L’incontro con Fontana invece avvenne a Milano, dove finalmente Cohen approda e rimane per lunghi anni, alternando soggiorni in America, in Francia e viaggiando in India, Polinesia e Mongolia interna. Sembra aver trovato finalmente la sua dimora, non solo fisica, ma anche spirituale: il suo appartamento nella soffitta di via Fiori Chiari, ora adibita a piccolo museo, fu per lui il luogo dove traghettò la sua opera da un’impostazione internazionale a una rivalutazione delle proprie radici, in questa nuova patria recepite come folk.
Negli anni Ottanta è infatti una guida per gli artisti che si accostano alla trans avanguardia. Nomadismo, localisimo e tradizione sono i criteri estetici per i quali Piotr J Cohen è ancora oggi considerato un anticipatore.
Durante il nostro incontro avvenuto a Roma all’Istituto di Cultura Polacco, mi ha concesso di sapere di più del suo lato inedito.
Lisa Rampilli: Come ha conciliato la sua matrice antifigurativa con l’aspetto definito naive e folcloristico della sua opera, sono due aspetti che risulterebbero a una prima analisi contraddittori.
Piotr J. Cohen: Certi concetti che a posteriori semplificano ed hanno la presunzione di poter chiarificare quello che è stato da me e da altri vissuto, servono solo a tranquillizzare i ben pensanti.
L.R: Ci può parlare della sua dimora d’infanzia?
P.J.C: Più che la mia casa ricordo le tante case di legno rappresentate nei dipinti dei pittori d’insegne che abitavano nella mia via. Se avessi creduto nelle loro raffigurazioni, avrei iniziato a pensare che tutte le case fossero uguali; e così gli uomini dipinti come delle figure dalle gambe sempre troppo grandi.
L.R: Che cosa rappresentano i funghi velenosi nella sua iconografia? (Amanite muscarie)
P.J.C: Risulta dall’iconografia medioevale, che l’albero del paradiso terrestre fosse un enorme fungo scarlatto con macchie candide all’apice. E che Eva avesse attinto alla conoscenza mangiandone una parte. Le mie esperirnze con sostanze psicoattive non sono rilevanti in questa storia, ma l’amalgama onirica tra un antico mito e un mio sogno ricorrente fa sì che talvolta, nei miei dipinti o sculture ci sia un forte richiamo ai funghi velenosi.
L.R: Possiamo conoscere questo sogno?
P.J.C: Sono io da bambino, cammino in un bosco e molte donne con il capo coperto da un fazzoletto bianco raccolgono Amanite muscarie riempiedone grandi gerle. A questo punto tutto diventa un quadro appeso nella mia stanza da letto. E io mi sveglio.
L.R: Può regalarci un verso inedito?
P.J.C: La soglia sempre oscura/ lascia scolorite le mie età dalle intemperie. / Sono passato da porte chiuse, invisibile, per cardini scricchiolanti./ Ho inciampato in una razza di giganti di niente./
Piotr J. Cohen, Sena titolo, 1964