Insalata Materna Beat-Polare – di Filippo Parodi
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Mi desti alla luce, anzi no, mi gettasti nelle tenebre, e invece mi hai offerto un biglietto speciale per prendere Quel Treno Verso L’Infinito Immenso. Però no, tu mi abbandonasti dentro al campo di concentramento, ma che sto dicendo, mi hai posato sopra l’erba di un tenero giardino, insegnato a riconoscere e a parlare… piuttosto mi hai coscientemente, ripetutamente assassinato! Pungono, in questo momento, spade infette dal manico d’inferno. Ora, in stereofonia, disarmate e celestiali ci accarezzano risate: dai, planiamo sulle sponde del lago argentato, impicchiamoci in uffici tragici e juke-box disabitati, che scemenza, non pensiamo più al passato… cosa credi, mi convinci sul futuro se mi garantisci Guarigione, Elaborazione? Sono fiero che il tuo sangue integri il mio corpo, mi fa schifo in discoteca, mentre annaspo fra colonne specchiate, rivederti nei miei occhi. Una margherita stamattina mi ha commosso, dopo cena uno sputo di TV mi ha rubato il sonno, l’abitudine e la pace, sarò il bastone della tua vecchiaia, lo prometto, oppure no, sarò il duro manganello che ti inseguirà fino alla tomba, un mucchio di cose ci rimangono da fare, macché, meglio se tentiamo strade separate, non ti voglio più incontrare. Hai pelle di pesca e di seta preziosa, le rughe ti sommergono irreversibilmente, esponimi di nuovo l’A, B, C, farò di testa mia e come mai insisti tanto a tormentarmi, quasi fossi ancora un…? Edipo non esiste, Edipo è su di me un formicolio, incessante mi sussurra lungo i genitali. Grazie a te stasera sto scrivendo, grazie a te mi mancano le chiavi per uscire dalla gabbia, perché molto banalmente non ci sono chiavi da trovare, e quante porte mi hai plasmato su misura il talento di saper scovare e spalancare! Quello che noi due viviamo è antropologico, universale, al contrario è un incubo del tutto folle e personale. Mi hai imbavagliato con la logica del crescere, con falsissimi giocattoli cloroformizzato, mi recasti La Mia Prima Unica Gioia, accordandomi il possesso di un orsetto di peluche che se oggi lo riavessi tra le mani, giuro, lo farei volare e sulla luna altalenare. Mi hai dotato di attributi virili e acuminati, con forme giunoniche e sinuose addobbato, non scherziamo su, comunque mi hai incastrato, Fottuto in un fottuto genere, e per assicurarmi variegata compagnia mi fornisti a grappoli fratelli e sorelle, qualcuno tra di loro mi ha picchiato & deflorato, ma tu questo non lo sai, tu sai tutto, sei onnisciente! Come fai, ogni santa volta, a non capire niente? Sei insostituibile, ti ho riamato in mille transfert, rivelasti il piacere del contatto, nessuno mi sa dare più un decente orgasmo, il seno che allattò mi viene adesso negato, raccontami daccapo la magia di Peter Pan, no non propinarmi quellastoriadiragazzoviziatochesidrogaedamattinaaseranonfauncazzoperchétantoc’hailculoparato. Porto con onore il nome che mi hai scelto, lo scorso giovedì ho mentito allo sportello, dichiarato di chiamarmi Marco: sentivo nelle viscere le doglie dell’Immane Burocratico Conato. Ti ricordi delle nostre antiche merende, il profumo genuino e fatato? L’altro ieri, per colmare non so quante latitanze, castelli di glucosio inoculati… la felicità che tu mi procuravi quando mi ghermivi e poi facevi bau, nel settembre dell’Ottantaquattro ho visto un cane in autostrada naufragare e fare slalom, da quel giorno io non riesco più a dimenticare, ma ho il sorriso tuo ad illuminarmi, anche dopo tanti anni, e il mio pianto che annerisce, allontana chi ha il coraggio ancora di restarmi a fianco. Sei passaggio di calore nell’imbuto di un inverno agro, sei un morso sul costato nell’odioso ferragosto cementificato, sei Demiurgo, architetti e sforni, sei Pandora che ha inquinato il mondo intero trastullandosi col vaso. Sei una certezza, candela sempre accesa, sei il dubbio, il blackout totale, cerco la sorgente a intuizioni e gomitate, torna per favore ad imboccarmi, con l’aeroplanino ad ipnotizzarmi: questo è per la nonna, aaam! Questo per lo zio… ora fammi respirare, CHIUDI QUELLA STRONZA BOCCA!
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