©Lisa Rampilli, Sempiterne signorine, disegno, 2013
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Vieni vieni mia bambina, dammi presto la manina, di zibibbo dolce e rosa,
dai un bacino alla non sposa.
Nonna soffoco in questa crinolina,
zitta e sorridi alla signorina,
ma nonna, è vecchia, ha la pelle di cartone
le signorine non son giovani e rosse d’emozione?
Forse signora la dovrei chiamare
sarebbe men bislacco doverla baciare
Zitta zitta non dirlo neanche
Pollonia è signorina dalle mani bianche
casta e integerrima maestra elementare
Signorina, signorina, la devi chiamare
Pollonia di cera, ritta come un fuso
orgogliosa di una virtù giammai in disuso
Fu bella, desiderata, più di un uomo la amò
di certo non mi sposo con uno col paltò.
E Dorotea sogghigna nei capelli argentati
rimasta sempre figlia gli anni non li ha contati
Lei è principessa di un castello ormai echeggiante
signorina Dorotea, di tutti l’aiutante
E ora che gli aiutati son tutti dipartiti
si trova Dorotea vacante di mariti
Ma suo fratello maggiore ha un figlio in aviazione
che accompagna la signorina ogni domenica alla funzione
Palmina e Pasquina signorine gemelle
di lunghi capelli le avvolgon mantelle
Giovinette due fratelli volevan sposare
ma per uno morto in guerra a entrambe sfumò l’altare
Né cruccio né disdetta per la coppia di sorelle
coltivano gardenie e scrivono novelle
Il fato le ha favorite, altro che sorti amare
nessun marito al mondo la avrebbe fatte separare
Illibate, immacolate, fiere e ferme nel candore,
infinita contentezza di non esser chiamate signore
indifferenti alla convenzione dei cedimenti voluttuari
sempiterne signorine, gigli centenari.