Luigi Mastrangelo/ Incontro con Barbara Fontanesi

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Luigi Mastrangelo

Luigi Mastrangelo

Barbara Fontanesi – Vivere da protagonisti sotto i riflettori richiede una notevole forza di spirito, sia per reggere l’amore e l’entusiasmo del pubblico, come pure la disapprovazione, le critiche, l’ostilità.
Nella tua vicenda personale, quanto lo sport è stato determinante per fare emergere il tuo stile e la singolarità in cui ti esprimi vivendo?

Luigi Mastrangelo – Ciao Barbara, allora, beh! sicuramente lo sport mi ha permesso di farmi conoscere agli altri e a me stesso in tutte le sfaccettature del mio carattere: sia come atleta, sia come persona in diversi aspetti della mia vita lavorativa. Ma soprattutto, nello sport sono richieste doti che sono date in partenza, che hai o non hai, e in questo lo sport non ti aiuta se sei costruito e non sei autentico. Le genuinità è sempre stata apprezzata in tutte le cose che si fanno sia nello sport, come nel cinema o nello spettacolo. Io penso che occorra molta forza di carattere, molta energia, per poter raggiungere degli obiettivi, altrimenti non si va da nessuna parte. Se non si è determinati e perseveranti in tutto ciò che si vuole ottenere, non si raggiunge nulla. Ritengo di avere avuto la fortuna di avere un carattere forte. Inoltre, ho avuto anche la fortuna di poter contare su valori saldi che mi sono stati trasmessi dalla mia famiglia, dal mio paese di origine, come pure per molti anni, e con grandi soddisfazioni, dallo sport. Poi, tutto il resto arriva da sé.

Luigi Mastrangelo – E per te Barbara, quanto lo sport è stato determinante per far emergere il tuo stile?

Barbara Fontanesi – Caro Gigi, è innegabile che le porte dei palazzetti attraverso le quali abbiamo avuto la possibilità di viaggiare, saltare, schiacciare, murare, ridere delle vittorie e piangere per le sconfitte ci abbiano aperto simbolicamente anche le porte per trovare noi stessi.
Una metafora della vita dove siamo entrati per seguire gli amici di scuola, o semplicemente per fare un po’ di sport nella palestra di fronte a casa, per poi venirne sorprendentemente rapiti.
Un scelta assoluta la nostra, senza se e senza ma, con tutta la dedizione che questo ha comportato nelle nostre vite. Sono d’accordo quando dici che lo sport non ti aiuta se sei costruito… anzi lo sport non chiede la “costruzione” o l’immagine del giocatore, da lui vuole la sostanza del gesto per il bene della squadra.
In generale però ritengo che lo sport richieda concentrazione assoluta: stare dove si è e non altrove con il corpo, l’anima e la mente.
Anche l’amore rischia di risentirne in questa esperienza totalizzante: stare al fianco di un atleta ci vuole forza d’animo e comprensione. Il compagno o la compagna fuori campo gioca altrettanto… in maniera invisibile ma è chiamata a giocare tutti i giorni.
Anche per me fare sport è stato determinante per fare emergere il mio stile e la mia singolarità… o almeno credo!
Nel mio caso, ho mai capito però fino in fondo se ho giocato a pallavolo perché sono una creativa, fantasiosa, determinata, competitiva e selvaggia quel tanto che basta per andare in campo e giocarmela, o se sono diventata così grazie alla pallavolo… credo sia la vecchia storia dell’uovo e della gallina.
Certo è che ad alti livelli, non c’è spazio per i timorosi, e vivere da protagonisti sotto i riflettori richiede una notevole forza di spirito, sia per reggere l’amore e l’entusiasmo del pubblico, come pure la disapprovazione, le critiche, l’ostilità.
Lo sport è formativo perché permette di vivere tutto ciò divertendosi.