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Barbara Fontanesi: La tua carriera sportiva è stata sempre contrassegnata dall’anticonvenzionalità, hai osato percorrere con tenacia e coraggio strade talvolta difficili senza mai fermarti né preoccuparti di quanto potesse essere scomodo quel cammino. Hai avuto l’ardimento di andare dove non si è sicuri, in un momento storico dove tutti sono alla disperata ricerca di conferme e certezze, è un gesto molto selvaggio e coraggioso.
A tua discrezione, secondo te, cosa hai fatto che ritieni sia stato “selvaggio”, contro le convenzioni, contro corrente, nella tua esperienza sportiva?
Giovanni Caprara: Ciò che ho fatto di anti-convenzionale nella vita lavorativa, l’ho compiuto seguendo alcuni principi etici per me fondamentali per vivere. Onestamente non credo di aver fatto cose particolarmente “selvagge” o volutamente “anticonformiste”, perlomeno, non ho mai fatto nulla “contro” le convenzioni, semplicemente sono stato guidato nelle mie scelte da due principi fondamentali: l’umiltà di mettermi a disposizione con la voglia di imparare il mestiere di allenatore e la perseveranza nel migliorarmi sempre, seguendo un profondo senso di giustizia.
Tutte le volte che mi sono trovato di fronte ad un bivio ho sempre preso la strada che secondo me poteva arricchirmi da un punto di vista tecnico e umano.
E spesso queste scelte sono state scomode e talvolta mi hanno fatto perdere anche denaro. Infatti, ho lasciato un lavoro sicuro, che mi dava garanzie, nel mio paese, per allenare squadre di pallavolo di basso livello e fare corsi di ginnastica per anziani.
In seguito ho rinunciato a un’attività ormai lanciata di allenatore e operatore di anziani per fare il secondo allenatore a Bergamo in A1, ma con uno stipendio molto più basso.
Sempre seguendo questo mio percorso alla ricerca di nuove mete, per arricchire il mio bagaglio di esperienza e di sfida personale e trovare nuovi stimoli, ho dato le dimissioni dalla nazionale russa dopo le Olimpiadi, rinunciando a un contratto biennale che per me sarebbe stato economicamente molto vantaggioso. E a conferma di quanto appena detto negli ultimi due anni ho rifiutato proposte da un club russo e da un club azero.
Insomma, il risultato delle mie decisioni mi ha condotto certamente a essere meno ricco di quanto avrei potuto divenire se fossi stato meno esigente con me stesso, ma la sfida per me era quella di provare a migliorarmi nell’insegnamento del volley, dedicandomi in modo particolare a quelle giocatrici che devono trasformarsi da brave in vincenti. Il mio percorso è stato ricercare strategie per raggiungere questo obiettivo. Personalmente ritengo di essere in grado di allenare squadre con all’interno giocatrici che hanno già vinto, che sono campioni. (Piacenza credo lo abbia dimostrato).
Dopo l’esperienza della nazionale russa sono andato alla ricerca di squadre non di primissimo livello come la nazionale greca (con un mese di esperienza anche con la juniores), e in particolar modo il progetto di Novara mi hanno fatto crescere molto nel mio lavoro.
Aggiungo un’ultima cosa, che io ritengo molto significativa per farti capire la mia “filosofia”: quando nel 2006 abbiamo vinto il Mondiale con la Russia, io ero il responsabile incaricato di dividere i premi in denaro che la Federazione aveva fissato per giocatrici e staff. Tutti i componenti dello staff hanno riscosso esattamente la stessa cifra che ho incassato io. Il mio stipendio è già nettamente più alto di quello dei miei collaboratori per il ruolo che svolgo, e dico questo a testimonianza della responsabilità che mi sono assunto. Quando in un’azienda ci sono degli utili, io ritengo vadano divisi equamente fra tutti coloro che hanno dato il loro massimo contributo alla riuscita dell’impresa.
Barbara Fontanesi: grazie Giovanni, per me il selvaggio è anche nel mio vivere quotidiano, è accogliere la sorpresa, tenere la porta spalancata sull’inaspettato.