All rights reserved@Mariangela Venezia
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CANTO TE A ME
Bianco di zinco, papaya, zafferano, albicocca, oro vivo, solidago. Il crepuscolo versicolore inonda le dune. Straripa il giallo, ora pieno, ora striato, ora a spinapesce. Scoppiando si frantuma in polvere, gli occhi bistrati di nostalgia. Intorno donne d’ombra camminano senza passo, mi accarezzano roteando invisibili braccia profumate di pane e sommacco, altre osservano, dagli acrocori, l’immagine malcerta della mia faccia sembiante.
Coppie di retine nere di catrame salutano ondeggiando, il cielo d’oriente sparge frammenti abbarbagliando le iridi verdi. Il tramontano uggiola.
Voglio vivere lontano dall’uragano.
A bordo di una molecola glassata di azoto blu, è il tuo pensiero che mi dondola. Intraprendo, nell’assenza di gravità, il viaggio a te.
Sento infinitesimali gocciole della tua saliva, luccicante tela di ragno, arrampicarsi affaccendate d’amore, lungo le mie cosce dischiuse, disviano, oliate da lembi di pelle rovente verso l’enigma di incavi incantati. Il disco del sole che muore canta di felicità chiamando la piova mentre tu, succhi la mia anima a te.
Assenza di bisogno, necessità alcuna, il miracolo del semplice si dischiude e siamo bocciolo, siamo foglia, siamo rivolo, e saetta e fiere all’alba del mondo. Siamo elettroni e falene e inghiottiamo questa vita quasi materiata, nel luminescente clangore di un filo d’erba, archetto sublime del vento.