Tutti i diritti riservati©Olga Orlandi
Cervelli viscerali
Questo antro non è il mio posto. Quella che mi ossigena non è l’aria salubre per me. Non è questa la pressione adatta alla mia mollezza.
Le curve del mio lungo corpo rettile si strozzano suggendo una linfa malsana, i rumori insopportabili del mondo di fuori mi massacrano di vibrazioni stressanti, nei miei anfratti ristagna un compost infertile che si ammassa e imputridisce.
Signora mi sente? Come si chiama? Quanti anni ha? Che giorno è oggi? Sente dolore? Si riposi adesso, tra poco passerà l’infermiera per la morfina e poi il chirurgo per dirle dell’esito dell’operazione. Si, è stata nuovamente necessaria una resezione dell’intestino.
Come tirano queste graffette. Arrugginiscono nei miei tessuti umidi. Non posso contrarmi, non posso liberarmi. E questo innesto di plastica come mi umilia. Questa luce violenta che non dovrei mai vedere mi disidrata, mi impedisce di funzionare. Le pareti delle mie membrane sono secche, i fecalomi diventano duri come sassi, s’ingrandiscono e si mettono in coda uno dietro l’altro, e non c’è muscolo che li accompagni verso il basso. La gravità funziona al contrario qui dentro.
Sono atrofizzato, sono depresso, i miei villi sono bruciati, sono pieno di lividi, gonfio di botte, ferito ovunque a rasoiate. Un fiele amaro mi inquina, esalo un odore nauseabondo. Voglio morire. Retella: voglio morire. Ti abbandono.
Il Morbo di Crohn, Rita, non ha un decorso prevedibile; è cronico, ma non inarrestabile, non regredisce, ma può inibirsi e smettere di peggiorare, talvolta in modo inaspettato. Da cosa dipende non lo sappiamo nemmeno noi medici. Per questo le chiedo di tenere un diario alimentare e delle sue abitudini. Le ricordo che una vita disordinata o stressante incoraggiano la progressione della malattia. Naturalmente sono deleterie tutte le abitudini degeneri come un ciclo sonno-veglia irregolare, il tabacco, gli alcolici, ogni tipo di stupefacente.
Vent’anni. Vent’anni da che ci hanno sradicato. Abbiamo smesso di avere la stessa età quando ti sei issata sul predellino del treno, alla stazione di Santa Maria Capua Vetere: io sono stato subito decrepito; mentre tu speravi nella Madonnina, nel pane bianco, cominciavo, silenziosamente, ad avvizzire. Mentre ti pungevi infilando gli aghi nel costume di Nurajev, marcivo di dentro, nascosto dietro il tamburo del tuo pancino. Mentre spiavi i le prove generali, mentre crescevi di statura e pettinavi i tuoi splendidi capelli neri, diventavo pesto.
Mi gonfiavo come una cornamusa durante le vacanze al mare con le due cugine: facendo la guardia alla cabina mentre, a turno, vi preparavate per la spiaggia. La zia Filomena protestava per l’indecenza del due pezzi.
Che buona la zia, che buona la pasta al forno con le polpettine fritte, che bello spinzzettarsi le sopracciglia a vicenda con Anna Maria e Giovanna, sgranando confidenze su le mestruazioni, su i maschi, leggendo la posta del Cuore e le viltà su i terroni: ignoranti, ladri, sporchi.
Che indignazione: NON SI AFFITTA AI MERIDIONALI. Che rivalsa la fila di corteggiatori in attesa di un’alzata di sopracciglia: perfettamente disegnate da Nannù, ad ali di gabbiano, come diceva la moda.
Ecco la sua dieta e il foglio di dimissioni, le pastiglie, l’impegnativa per la prossima visita. Controlli di non aver lasciato niente. Buona fortuna. A presto.
Ecco la sua dieta e il foglio di dimissioni, le pastiglie, l’impegnativa per la prossima visita. Controlli di non aver lasciato niente. Buona fortuna. A presto.
Ecco la sua dieta e il foglio di dimissioni, le pastiglie, l’impegnativa per la prossima visita. Controlli di non aver lasciato niente. Buona fortuna. A presto.
Ecco la sua dieta e il foglio di dimissioni, le pastiglie, l’impegnativa per la prossima visita. Controlli di non aver lasciato niente. Buona fortuna. A presto.
Sono atterrata in Guadalupa di notte, affamata, a conoscere il resto della storia.
Mia cugina Rita ha continuato a vivere a lungo, dentro e fuori de gli ospedali, dei bagni pubblici, delle cabine de gli stabilimenti balneari, dietro le quinte della Scala, dietro ai banchi delle scuole serali, dentro e fuori dei centri sociali, sopra e ai lati delle piste da ballo, dentro e fuori dal letto, dentro e fuori dei pacchetti di sigarette, dentro e fuori lo stordimento della Marijuana, affacciata ai desk de gli aeroporti, sopra e sotto la quota di crociera dei voli transcontinentali: Milano-Basse Terre, Basse Terre-Milano.
Finché non ha ascoltato il suo intestino ulcerato. Così ribelle di qua dall’oceano, così pacifico di là.
Una testa rasta, di capelli come neri intestini giù per la schiena, come in una leggenda africana, le ha suggerito la salvezza nelle Antille, una notte stroboscopica in una discoteca e lei, prostrata dalle umiliazioni delle sue viscere anarchiche ma ancora ingenua e magica come a sette anni, col piede destro sul predellino della stazione di Santa Maria Capua Vetere, ce le ha portate, le sue viscere moribonde, nel Mar dei Caraibi. E loro, finalmente ascoltate, si sono reidratate in un’ora, hanno riassorbito le ulcere e le piaghe e hanno guarito le necrosi, si sono ricompattate, riavvolte morbidamente, hanno smesso di ardere di febbre, e insieme hanno desiderato il frutto del pane, il latte di cocco, la guaiava, la maracuja… sono arse solo più per la per la passione del frutto.
Maria Rita Venia, nata a Santa Maria Capua Vetere il 7 giugno 1948: inspiegabilmente malata in Italia, miracolosamente sana nel Département d’Outre-Mer della Repubblica francese di Guadeloupe.