Andare Altrove/Incontro con Giovanni Guidetti – di Barbara Fontanesi

All rights reserved©Barbara Fontanesi
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Giovanni Guidetti

Giovanni Guidetti

Barabara Fontanesi: Caro Giovanni, quando hai deciso di intraprendere la tua carriera di allenatore di pallavolo quale è stata la tua scommessa, la tua sfida, e dalla tua esperienza quali invenzioni ritieni ne siano scaturite?
Giovanni Guidetti: Cara Barbara la tua domanda non è delle più semplici anche perché non c’è una sola risposta, le risposte possono essere tante e svariate.
Soprattutto quella che mi fai è una domanda che più volte ho rivolto a me stesso. È chiaro che se sono diventato un discreto allenatore e se ho ottenuto qualche successo è perché mi sono messo sempre in gioco e ho spesso rischiato un po’ alla cieca.
Avevo ventitré anni quando mi proposero di diventare il primo allenatore a Spezzano con quasi tutto il sestetto che si aggirava intorno ai trenta anni di età con Campionati Europei, Mondiali e Olimpiadi alle spalle….non esitai un attimo a dire di si. Ovviamente non ero pronto, ovviamente non ero ancora preparato per un incarico tanto più grande di me, ma ho rischiato, e mi sono fatto aiutare. Ricordo ancora quante domande facevo alla Sidorenko, alla Pagliari, alla Marabissi…volevo imparare da loro come allenarle il meglio possibile. Forse è quello il mio segreto di sopravvivenza: voler imparare, chiedere, confrontarsi. Dovunque sono stato (America, Bulgaria, Germania, Turchia…), non mi sono mai presentato come un dittatore, ma come un amico che voleva imparare e insegnare allo stesso tempo. Il mio desiderio di imparare e di migliorare mi accompagna da sempre. Mio padre, mio zio, Montali, Velasco, Frigoni, Doug Beal, Bernardinho, Toshida, Ze Roberto, cosi come tante altre persone, tanti giocatori e tante giocatrici…da tutti ho voluto imparare qualcosa, tutti mi hanno insegnato qualcosa. Ricordo ancora quando ventenne andavo in treno da Modena al torneo di Montreux e guardavo sette ore di allenamento di varie nazionali tutti i giorni e scrivevo e mi appuntavo tutti gli esercizi che vedevo. La risposta alla tua domanda quindi potrebbe essere questa: “Ho deciso di espatriare per imparare sempre qualcosa di nuovo “. Una frase che in vent’anni di carriera non ho mai detto è “si fa così perché lo dico io, si fa così perché io sono l’allenatore”. Mai. Si fa così perché io penso che sia la maniera corretta, dopo aver visto e analizzato vari dettagli, tu cosa ne pensi? Questo è il modo di porsi. E forse è anche questo il motivo per cui sono sempre stato apprezzato all’estero (Otto stagioni in Germania, già cinque ad Istanbul. Perché non ho mai voluto imporre niente: ho sempre messo a disposizione le mie conoscenze confrontandole con gli altri e integrandole nella loro cultura. Mi chiedi se ho inventato qualcosa? Non lo so, non lo credo. Coloro che hanno inventato qualcosa sono stati i grandi di questo sport come Doug Beal, come Velasco. Ovviamente ho il mio metodo, il mio stile, le mie convinzioni, e ho creato la mia pallavolo e il mio modo di allenarla. Una cosa di cui vado fiero? Non sono le coppe e non sono le medaglie…vado fiero di avere creato ambienti di lavoro felici e sereni, aver rispettato tutti quelli che lavoravano con me, aver creato rapporti di amicizia con molti miei colleghi e giocatrici….chi lo sa, forse qualcosa l’ho inventato anche io: non occorre essere arrabbiati per ottenere qualcosa, non occorre creare un clima di terrore per vincere, non occorre mettere barriere tra giocatrici e staff, non occorre imporre il proprio ruolo e la propria superiorità, non occorre essere stronzi per farsi rispettare…si può vincere anche ( e io penso soprattutto), in un ambiente dove tutti sono felici di essere rispettando i propri ruoli. Se una giocatrice mi prende in giro per un pantaloncino abbinato male con una maglietta, per uno strafalcione grammaticale, per una gaffe qualsiasi…e cosi via… rido con loro e mi fa piacere .
Una squadra è come un’ orchestra: ognuno deve essere contento di farne parte, ognuno deve essere felice per l’importanza che ha: il solista come colui che suona il triangolo ogni dieci minuti, cosi come il direttore….tutti all’unisono lavorano per creare una buona musica. Questa è la squadra.
E tu Barbara cosa ne pensi?
Giovanni

Caro Giovanni,
la nostra conversazione potrebbe finire qui visto che condivido in pieno tutto il tuo ragionamento. Non avendo vissuto (purtroppo!) un’esperienza estera da giocatrice posso dire nel mio caso che sia stato il Mondo ad entrare nei miei spogliatoi. Avevo quindici anni quando ho esordito in serie A e subito dovetti confrontarmi con atlete straniere molto più grandi e forti di me. Le guardavo dal basso verso l’alto con tanta riverenza ed umiltà ed anch’io come te, le osservavo cercando di assorbire ogni loro movimento, ringraziando ogni giorno per l’esperienza che stavo vivendo.
Da Marsha Bond, a Valery Campbell, per poi a Modena passare da Paula Weishoff a Jenny Lang Ping, Gaby Perez del Solar ed Henriette Weersing… veri mostri sacri del volley passato e presente.
Da tutte ho carpito qualcosa, un gesto, un metodo, un atteggiamento e tutte si sono dimostrate vere campionesse di disponibilità e generosità.
Contrariamente a quanto capita in azienda, dove il know how difficilmente si tramanda anche per il timore (spesso riscontrato nei fatti) di essere facilmente sostituiti, nello sport lo scambio di esperienze “dall’alto verso il basso” è incentivato e auspicato proprio perché permette di aumentare la probabilità di vittoria di squadra e, di conseguenza, personale. Un giocatore, per quanto possa emulare un gesto, non lo farà mai uguale al suo modello pertanto l’eccellenza del compagno è solo una garanzia di risultato maggiore!.
Anch’io come te penso di non aver inventato nulla nel volley… posso solo essere orgogliosa di aver sconfitto un grande pregiudizio che riguarda l’età e la possibilità per un’atleta “in età avanzata” di potersi rimettere in gioco. A ventitre anni, al rientro dagli Europei di Roma, decido di passare dal ruolo di schiacciatrice e quello di palleggiatrice e con le riserve di moltissimi (comprensibili) non solo raddoppio le mie vittoria ma anche la durata della mia carriera che sentivo ormai arrivata al termine.
Un’esperienza molto soddisfacente non senza sofferenze… Non ho avuti sconti da nessuno!
La mia è una storia come tante… la storia di una ragazzina che per seguire le amiche di scuola s’ iscrive ad un corso di pallavolo nella palestra del suo paese per ritrovarsi, ben presto, ad inseguire un sogno che realizza: diventare una giocatrice di pallavolo.
Oggi nel guardami indietro penso che il mio Campionato l’abbia vinto.
Ecco, se posso racchiudere la nostra conversazione in un concetto definirei il tutto col termine Abbandono… S’ inventa qualcosa di nuovo solo quando c’è abbandono ed accoglienza verso il nostro destino ed affinché l’esperienza diventi completa credo non si possa prescindere dall’Ascolto di ciò che ci circonda…
Barbara