Tutti i diritti riservati©Olga Orlandi
Non so mai che aspetto abbiano i protagonisti dell’attualità o della cronaca. Eppure sono una maniaca della rassegna stampa. Semplicemente, sono quasi sempre all’ascolto della radio e quasi mai in presenza di una televisione accesa.
L’“habemus papam”, però, voglio che attraversi in diretta le mie pupille e si rovesci sul fondo del mio occhio e che il mio cervello lo ribalti perché lo veda dritto, come tutto il resto del mondo elettrificato lo vede. Quindi pedalo molto veloce, mentre la cronista del 107.6 prende tempo chiacchierando eccitata con l’inviata dal Vaticano…
Sgommo per non schiantarmi sul cancello di casa, armeggio, abbandono la bicicletta in cantina e faccio tre rampe, quattro a quattro. Un sommesso clangore e Ciubecca mi è addosso esprimendo a musate il suo chiodo fisso da cane: pipì.
Per un attimo resto indecisa: lo prendo al lazzo e accompagno fuori la sua vescica gonfia o mi sintonizzo?
Il plasma si scalda e poi esplode la distesa di testoline frementi, nel luccicore della piazza punteggiata di riflettori.
La finestra sta.
Un ondeggiar di tende e la massa ondeggia.
Una lampadina illumina un milione di espressioni sorprese.
Il serramento manomesso scassina le bocche serrate.
Un anziano tremolante annuncia con grande gaudio e tutte le orecchie si parabolizzano.
A casa mia l’audio è quello della radio, e si sentono bene i rumori di fondo della platea di accreditati: al nome di battesimo replica un’aspirazione collettiva, al nome papale, una grande vocale stupefatta.
Francesco dà la sua “buona sera” al Pianeta Terra.
Una settimana dopo, cosciente d’essere troppo cresciuta anche per lo sconto agostiniano delle “fiamme mitissime(1), decido che chiederò del denaro a uno storico del cristianesimo. Non per mettere in pratica una provocazione, ma perché metto insieme tre ragionamenti: sto lavorando al tema di ULTRAFILOSOFIA dedicato al “Denaro e alle relazioni”; è stato appena eletto il papa che ha voluto, per primo, il nome del santo che ha ordinato fermamente a tutti i frati del suo ordine che in nessun modo ricevessero denari o pecunia; conosco Roberto Osculati.
Roberto Osculati è nato il 26 settembre 1939 a Monza; laureato in filosofia e teologia, dal 1987 è professore ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università degli Studi di Catania e, on line, si presenta citando, innanzitutto, le Omelie spirituali di Pseudo Macario, dove lo scrittore auspica che l’uomo cristiano non sia mai certo della sua rettitudine e del suo fervore, ma che, pur cosciente della sua debolezza, sia ostinato nella buona volontà: un pensiero molto umano, molto terreno, adatto anche a tutti quelli che possiedono un portafoglio più o meno gonfio e s’interrogano quando lo sfilano dalla tasca (2).
(1) Sant’Agostino affermava che i bambini non ancora battezzati fossero destinati alle fiamme dell’inferno anche se “fiamme mitissime”.
(2)“Questo è il segno del cristianesimo: quando un uomo, per quante siano le sue fatiche e le opere di giustizia compiute, si comporta come se non avesse fatto nulla e pur digiunando dice: ‘Non ho digiunato’; pur pregando: ‘Non ho pregato’; pur perseverando nella preghiera: ‘Non ho perseverato’, e ‘Devo ancora cominciare la mia ascesi e la mia fatica’. E anche se è giusto di fronte a Dio, deve dire: ‘Non sono giusto, non mi sforzo, ma ogni giorno comincio’. È necessario avere ogni giorno la speranza, la gioia, l’attesa del regno futuro e della liberazione e dire: ‘Se non sono stato liberato oggi, lo sarò domani’”.
Nell’inesperienza totale del catechismo, il mio timore più grande è quello di fare delle domande insulse, quindi, forzando al massimo le mie meningi infedeli mi rivolgo solo cinque volte a Osculati. Tre domande meritano risposte articolate, le ultime due ricevono una replica molto sintetica e molto, molto efficace…
Olga Orlandi / Nell’immaginario cristiano, la beatitudine cui sono destinati i “buoni” non contempla una seconda esistenza opulenta. Che vicende storiche e quali miti indicano questa strada verso il godimento del solo spirito e non verso la promessa di un’esistenza trascendente anche danarosa?
Roberto Osculati /L’evangelo è nato dalla profezia ebraica. Dai secoli IX e VIII a. C. i profeti si presentavano come uomini della steppa e della campagna, contrari alla civiltà cittadina e statale. Il pastore itinerante Abramo era posto come prototipo del giusto assieme ai suoi discendenti ideali come Isacco e Giacobbe. A questo stile di vita senza costruzione di edifici, senza proprietà di terre, senza amministrazione statale, senza eserciti si contrapponevano le grandi costruzioni monarchiche dell’Assiria, di Babilonia, dell’Egitto. La vera ricchezza è rappresentata dalla natura nelle sue forme più immediate: la fecondità della terra, delle fonti, della famiglia, degli animali. I grandi organismi statali, fondati sul denaro e sulle armi, pervertono gli esseri umani e li fanno diventare adoratori di se stessi e delle loro costruzioni artificiose. Giovanni Battista riprende dal deserto questi temi e Gesù è un suo adepto. Anch’egli nel deserto rifiuta la preminenza del cibo, del potere politico e degli spettacoli (Vedi la leggenda del grande inquisitore nei “ Karamazov”). Nella sua attività è un viandante che vive di elemosine, come gli uccelli del cielo e i fiori del campo. Finché rimane nelle campagne tra i poveri ed è sostenuto da un gruppo di donne, al più deve sostenere qualche disputa con i tutori di una legalità da paese e può sempre sfuggire ad ogni struttura giuridica. Ma se pretende di portare la sua protesta a Gerusalemme, presso le autorità centrali del giudaismo e sotto l’occhio vigile della potenza romana, è destinato alla morte, come il suo precursore.
L’evangelo nasce sempre di nuovo da una protesta contro il mondo retto dal denaro e tutto ciò che con esso si procura. Probabilmente si tratta alle sue origini di una viva sensibilità verso la sofferenza umana prodotta dalle istituzioni pubbliche: l’animo del singolo si ribella agli esseri umani che costruiscono un mondo in cui i deboli sono divorati dai forti. L’“Apocalisse” diventa così la storia delle vittime che aspirano ad un mondo semplice e puro contro tutti gli artifici dei poteri dominanti ( Vedi i romanzi di E. Wiechert, come “La vita semplice”, scritto dopo la prima guerra mondiale, oppure “Ascoltate la voce” dell’ebreo F. Werfel in previsione della seconda, oppure quelli di B. Marshall, come “Ad ogni uomo un soldo”, scritto dopo i massacri della seconda).
O.O/La ricchezza, nella storia delle istituzioni ecclesiastiche, è stata una seduzione che ha deviato non solo singoli uomini di chiesa, ma interi apparati. Come si manifestano oggi le ritenute”cattive” interferenze tra denaro e Chiesa?
R. O./Le istituzioni ecclesiastiche dei paesi ricchi o recentemente arricchiti sembrano, nelle loro apparenze più evidenti, essersi appiattite sui criteri di una società piccolo borghese, burocratica, suscettibile, timorosa, lamentosa, preoccupata del proprio interesse individuale, guidata da artifici televisivi. L’evangelo è altra cosa rispetto a questo stile di vita molto diffuso e assai rispettabile. E’ ruvido, provocatorio, come le sue origini dalla steppa (vedi la figura del Battista del Duomo di Monza fusa nel secolo XIV).
O.O./San Francesco d’Assisi, secondo la narrazione, poteva comprendere le creature animali come se esistesse un unico linguaggio naturale, mentre la Babele delle lingue umane non gli era ugualmente evidente. Il paragone è dissacrante, ma anche il denaro è un codice universalmente comprensibile: può il denaro essere un lessico di pace?
R.O./Non credo, a meno che dietro il suo uso ci sia un altro lessico che lo guidi e lo domini. Francesco sosteneva che non si va da nessuna parte, se non si considera il denaro come i sassi della strada. Preferirei il linguaggio del cibo e della bevanda, dei doveri comuni, del lavoro. Una suora in Etiopia, dopo 37 anni di Corno d’Africa, mi diceva che l’unica vera medicina è l’acqua, con l’aggiunta di un po’ di educazione e senza aiuti. Ognuno deve imparare a camminare da sé, salvo casi estremi.
Nella concezione cristiana, la scelta di povertà è considerata un atteggiamento meritevole, l’indigente dalla nascita, però, non ha alternative alla miseria; bisogna dunque concludere che solo il ricco può spogliarsi rendendosi degno d’ammirazione umana ed accoglienza divina? Un interrogativo che apre a tante altre domande.