Migrazioni – di Renato Massa
RENATO MASSA- AIRONE- RACCONTI DEL NATURALISTA 4
Ci spostiamo tutti, anche quelli che definiamo come sedentari al cento per cento, ci spostiamo per fare la spesa, per andare a vedere uno spettacolo, per andare in vacanza o addirittura per cambiare residenza per un periodo più o meno lungo, anche se mai veramente “per sempre” come recita una recente pubblicità di telefoni: “per sempre” non esiste per gli esseri viventi.
Ci spostiamo come pendolari, ma non siamo gli unici a farlo. In Lombardia, i gabbiani comuni dormono sul lago di Lecco e ogni mattina, di buon’ora, si levano in volo, percorrono un centinaio di chilometri fino a raggiungere i prati umidi a sud di Milano, vi trascorrono l’intera giornata cercando cibo e infine, poco prima di sera, si levano in volo per andare a trascorrere la notte sul lago, un luogo che ritengono più sicuro. La stessa cosa fanno altri uccelli, per esempio alcuni pappagalli africani come il cenerino, il pappagallo del Capo, il pappagallo di Jardine, pendolando ogni giorno dal luogo in cui dormono a quello in cui cercano cibo e magari anche cambiando l’uno e l’altro nelle diverse stagioni, in dipendenza della disponibilità di cibo che cambia continuamente con il ciclo annuale delle fioriture e relative fruttificazioni.
E tuttavia, non sempre questi movimenti pendolari quotidiani risultano sufficienti per le esigenze della vita. Un essere umano può perdere il lavoro ed essere obbligato a spostarsi in permanenza anche per migliaia di chilometri per trovarne un altro, un uccello può venirsi a trovare in un ambiente che non offre più risorse non solo localmente ma anche a livello, per così dire, regionale. In questo caso, la soluzione forzata è di spostarsi più o meno lontano con l’idea di tornare dopo qualche tempo oppure di non tornare affatto a seconda delle prospettive di recupero che l’ambiente può offrire, almeno in teoria. Per un essere umano, l’esempio di un movimento senza ritorno è evidentemente rappresentato dagli emigranti che si spostano verso un’area dove sperano che le prospettive di trovare lavoro siano migliori di quelle esistenti a casa propria, quello di un tipico movimento stagionale può essere invece rappresentato dai malgari che, nella buona stagione, conducono le loro mucche in alta montagna per produrre burro e formaggio di qualità e poi tornare a valle con tutti gli animali quando il freddo e la neve impediscono di continuare. Ancora una volta, il confronto con il mondo degli animali selvatici funziona perfettamente: vi sono specie di ambienti imprevedibili che si spostano continuamente da un luogo all’altro, sempre andando in cerca di un luogo dove sia possibile mangiare, per esempio gli uccelli dei deserti australiani come il parrocchetto ondulato oppure la calopsitta che viaggiano errabondi in cerca di luoghi in cui sia piovuto di recente, e vi sono anche specie, per la verità molto più numerose, che si spostano con movimenti pendolari, non più giornalieri ma stagionali. Sono queste le specie che vengono generalmente definite come migratrici nei libri di ornitologia. In effetti, si tratta in primo luogo di uccelli, animali che, grazie alle ali, hanno una mobilità tale da consentire spostamenti stagionali anche spettacolari, in secondo luogo anche di mammiferi, pesci, insetti. Modesti sono i movimenti di altri animali come i rettili e gli anfibi, condizionati come sono dalle temperature ambientali e anche dalla loro scarsa mobilità potenziale. Con tutto ciò, mi ricordo bene di avere osservato, in Sicilia, un ranocchio locale (Discoglossus pictus) che trascorreva l’inverno nascosto sotto una grossa pietra su un pendio a una cinquantina di metri sopra un torrente in piena, evidentemente per evitare di essere spazzato via e magari sbattuto contro le rocce e ucciso. In primavera, quando il sole riduce il corso d’acqua a una sorta di rigagnolo costellato di pozze, la bestiola può tornarvi per deporre le sue uova e vivere in acqua finché il clima lo consente.
Per molti uccelli, gli spostamenti sono poco più ampi di quelli di questo ranocchio, soprattutto se si tiene conto della loro molto maggiore mobilità. Per esempio, il pettirosso che, in inverno, si può osservare facilmente nei parchi e nei giardinetti cittadini, nella buona stagione si sposta nei boschi, soprattutto quelli collinari e montani, per andare a nidificare. Eccezion fatta, però, delle popolazioni di questo e di molti altri piccoli uccelli che nidificano in ambienti nordici (Siberia, Lapponia), che in inverno si trovano costrette a muoversi a distanze molto maggiori, magari fino agli ambienti mediterranei.
Il periodo riproduttivo comporta non solo per gli uccelli esigenze ben maggiori di cibo, riparo e quant’altro necessario per potere allevare con successo la prole. Per questo motivo, alcune specie che vivono in zone che potrebbero sembrare un paradiso terrestre, quando è il momento di riprodursi migrano verso zone che, in generale, sono meno favorevoli ma, in una determinata stagione, offrono risorse abbondanti in un quadro di competizione decisamente ridotta. Così, un limitato numero di specie di rondini e di averle, in primavera, abbandonano le savane africane per raggiungere addirittura l’Europa dove potranno procurarsi il cibo per i loro piccoli nati senza dovere fronteggiare la competizione di decine di altre specie simili. Questo sistema, usato da molti uccelli, comporta un viaggio di andata e ritorno di migliaia di chilometri ma è ancora poco in confronto con quello della sterna artica che si sposta letteralmente dal circolo polare artico a quello antartico per vivere in permanenza in un ambiente in cui i giorni sono tanto lunghi da consentirle di pescare in abbondanza.
Gli spostamenti di tutti gli animali sono legati alla necessità di reperire cibo ma non sono dettati dalla fame perché, altrimenti, verrebbero iniziati troppo tardi. Piuttosto, i segnali per gli uccelli migratori delle nostre latitudini sono rappresentati dal graduale accorciamento delle giornate che inizia addirittura dopo il 21 giugno ed è già sensibile in agosto. Alle latitudini tropicali, il segnale più comune è invece rappresentato dal cambiamento dell’umidità dell’aria che prelude a grandi siccità o grandi piogge stagionali. Lo stesso segnale guida anche gli gnu e le zebre nel loro lungo viaggio attraverso la savana in cerca di luoghi dove sia ancora possibile brucare erba fresca.
Le migrazioni non avvengono soltanto negli ambienti terrestri ma anche in quelli acquatici. Ben note sono, per esempio, quelle dei salmoni che dall’oceano risalgono i fiumi per andare a deporre le uova in ambienti montani dove è possibile la sopravvivenza di un certo numero di piccoli nati. Gli adulti riproduttori moriranno poco dopo aver deposto o fecondato le uova fornendo cibo a orsi, aquile e altri animali mentre i piccoli nati partiranno subito per ritornare all’oceano dove trascorreranno alcuni anni finché, a loro volta, non saranno guidati dal richiamo del sesso verso i luoghi natii dove andranno a riprodursi e fatalmente morire.
Una migrazione in senso esattamente contrario è invece effettuata dalle anguille che nascono nell’oceano Atlantico (mar dei Sargassi) e da qui raggiungono le acque dolci e salmastre per crescervi fino alla maturità, quando ripartiranno verso il mare per andare a deporre le uova in luoghi lontanissimi. Altri pesci, per esempio i tonni, compiono invece migrazioni da una zona all’altra degli oceani in cerca di acque più calde e più ossigenate dove la sopravvivenza della loro prole è maggiormente garantita. Per lo stesso motivo, in mare si muovono anche stagionalmente alcune specie di balene, per esempio la balena grigia della California.
Esistono anche, sempre a scopo riproduttivo, migrazioni periodiche dalla terra all’acqua e viceversa. Le prime sono effettuate regolarmente da alcuni anfibi che si sono parzialmente affrancati dall’ambiente acquoso ma che, come tutti i rappresentanti della loro classe, depongono uova prive di membrane protettive che necessitano di rimanere in acqua per svilupparsi e dare luogo al loro frutto. Tipiche sono le migrazioni dei rospi che, in primavera, si spostano a migliaia rischiando una mortalità enorme se per caso attraversano strade in luoghi dove il problema della loro protezione non sia chiaramente sentito e praticamente affrontato. Dalle uova sospese in acqua nascono girini che in acqua vivono alcuni mesi respirando per mezzo di branchie e se ne allontanano dopo la metamorfosi per poi ritornarvi come riproduttori al momento della maturità sessuale che peraltro arriverà non molto presto, dopo alcuni anni di una vita terrestre condotta normalmente di notte e con netta preferenza per i luoghi ombrosi.
Una migrazione perfettamente opposta, dall’acqua alla terra, viene invece affrontata dalle tartarughe marine. Queste fanno parte della classe dei rettili, animali che a differenza degli anfibi, si sono completamente adattati alla vita terrestre, non solo sviluppando una copertura epidermica capace di proteggerli dalla disidratazione ma anche inventando un uovo talmente ben protetto da membrane da potere e anzi dovere essere deposto in terra e non più in acqua.
Come spesso accade nella vita, dopo tanto impegno e tanta fatica della famiglia a occupare una certa nicchia ecologica, ecco che qualcuno dei suoi membri decide improvvisamente di tornare indietro: alcune specie di tartarughe tornano all’acqua, molte alle acque dolci vivendo un po’ come le rane, tra acqua e terra, alcune persino a quelle marine non visitando più gli ambienti terrestri se non in casi eccezionali, giustappunto per deporre le uova.
Le uova sono pur sempre uova di animali terrestri, da questo difficile progresso non si torna indietro in alcun modo e dunque l’unica soluzione a quello che ormai è diventato un problema sarà di risalire a terra per deporvi le uova. Ciò sarà molto semplice per le tartarughe d’acqua dolce che a terra vengono regolarmente per prendere il sole sulle rive degli stagni e persino per spostarsi da una raccolta d’acqua all’altra, un po’ più complicato per quelle marine che dovranno affrontare una vera e propria migrazione per deporre le proprie uova scavando un’apposita buca su spiagge relativamente sicure. I piccoli nati, appena emersi dal loro nascondiglio, devono subito correre in mare dove trascorreranno l’intera loro vita salvo, appunto, tornare a terra per deporre le uova nel caso in cui siano di sesso femminile.
Il sistema, riconosciamolo pure, è relativamente complicato e faticoso e in effetti c’è anche un gruppo di altri rettili marini che lo ha definitivamente abbandonato. Si tratta di una famiglia di serpenti noti come Idrofidi o serpenti di mare, reperibili dall’Asia tropicale all’Australia che hanno optato per la produzione diretta di figli vivi in mare. In effetti, la possibilità di partorire figli vivi non esiste tra le tartarughe mentre è discretamente diffusa tra i serpenti e le lucertole e quindi rappresenta una soluzione rapida ed elegante per evitare una difficile e pericolosa migrazione riproduttiva.
Anche per gli anfibi, l’opzione della viviparità rappresenta una buona soluzione per liberarsi dalla necessità della migrazione all’acqua. Sviluppo embrionale e metamorfosi si completano nel corpo materno e i piccoli che vengono alla luce sono già miniature degli adulti che respirano aria per mezzo di polmoni o attraverso la pelle sempre ricoperta da un filo d’acqua. Questa soluzione è stata adottata dalla salamandra nera alpina e anche dalle varie specie di geotritoni che popolano l’Appennino e la Sardegna, animaletti simili a piccole salamandre che si nascondono nelle crepe dei muretti umidi, sotto i ponti e nelle grotte.
Per gli uccelli il problema di evitare la migrazione si pone in un modo diverso. Nel loro caso non si tratta di pendolare tra acqua e terra ma semplicemente tra un luogo più favorevole per superare l’inverno e un altro più favorevole per riprodursi con successo. Rondini, rigogoli, averle e altri migratori transahariani non potrebbero superare l’inverno nelle zone temperate a causa della scarsità di insetti e d’altra parte non potrebbero riprodursi nelle zone tropicali a causa dell’eccessiva competizione di molte altre specie strettamente affini. Quest’ultimo problema è praticamente insolubile mentre il reperimento degli insetti si potrebbe realizzare andando a cercare le loro forme larvali nascoste sotto terra o affondate sotto la corteccia degli alberi. Non si tratta certo di una soluzione a portata di tutti, ma un’intera famiglia di uccelli, quella dei picchi, l’ha adottata imparando a scavare nel legno e a estrarvi grosse e appetitose larve anche in pieno inverno, una soluzione radicale che ne ha fatto una delle poche famiglie di uccelli sedentari. L’eccezione è rappresentata da un rappresentante atipico o forse primitivo della famiglia che è il cosiddetto torcicollo, un uccellino incapace di scavare e dunque obbligato a migrare in su e in giù fino alla fascia delle savane africane.
© Renato Massa