ZimmerFrei / Odissea surreale nello spazio – di Fabio Carnaghi
Vivere è passare da uno spazio all’altro
George Perec
Descrivere traiettorie significa spaziare con lo sguardo, esplorando mondi in una vera e propria Odissea filmica. La proiezione di flussi di realtà nell’immaginario trasfigura la dimensione fenomenica, e i riferimenti topografici divengono eterotopi fantastici. Roma, Bologna, Milano, New York e ogni altra determinazione di luogo si riconfigurano in altrettanti topoi quasi letterari.
Una geografia rivisitata da un site-seeing genera un palinsesto mnemonico riscrivibile in mappe fluide, intese come tracciati emozionali e topofilici, in cui le coordinate topografiche vengono meno a favore di un’ulteriorità svelata attraverso il vagabondaggio mentale.
ZimmerFrei colloca la sua ricerca nello spazio, che diventa significante di ambienti e antropologie. Una pasoliniana campagna romana, contemporanea traslitterazione dal genere arcadico settecentesco, diventa lo scenario che documenta l’umanità precaria di un non luogo fatto delle gesta cruente di una pastorizia balcanica, che vive una dimensione subliminale alla civiltà tecnologica. Coney Island e il suo Luna Park dismesso, relitto consacrato dalla cinematografia, ribadisce la relazione geopsichica tra luoghi e affetti: una famiglia della comunità ebraica Chabad-Lubavitch passeggia sulla spiaggia, allegoriche quanto apotropaiche figure di fronte al mare. Nell’atmosfera di suspence e di straniamento, le strutture del divertimento arenate cristallizzano la spensieratezza che avrebbero voluto cullare per sempre, mentre la dimensione umana incontra la congettura, ovvero l’ipotesi di un sogno o la possibilità di un incubo. Il locale e il topografico si connaturano in luoghi interiori, che nello spaziare trovano il loro supporto ontologico, il loro ancoraggio alla realtà e al rapporto con l’umano.
Nell’indagine del luogo l’atto del vedere è l’auctoritas, il metodo indiziario primario nel processo comunicativo. Una ricognizione, un’esplorazione archeologica ab origine dell’abitato per eccellenza, la città, costituiscono il racconto continuo di una passeggiata filmico-architettonica, di un itinerario della reminiscenza, di uno streetwalking narrativo. Milano diventa un oggetto parlante, una scatola sonora che risuona del suo contenuto, della sua essenza vitale. Allo stesso modo nel quartiere di Nørrebro a Copenhagen, una collina artificiale è un intervento ambientale che trasforma la vita e i modi dell’abitare. La multiculturalità di un sobborgo è luogo del sincretismo e della convivenza sociale, che descrive a più voci la realtà in mutamento. Storia e storie, abitanti e abitati, ambienti naturali, artificiali e culturali registrano, attraverso la trasformazione, lo spontaneismo umano che incide sullo spazio come paesaggio.
Il concetto di paesaggio nell’opera di ZimmerFrei è una pulsione al collettivo, che si struttura nell’azione, nel fenomeno, nel tempo. In questo senso nascono i Panorami, che descrivono la fruizione specifica dello spazio pubblico, eletto a territorio di confine tra dimensione reale e fiction. L’interazione, la condivisione e il dinamismo determinano inevitabilmente il luogo urbano, conferendogli un aspetto legato alla temporaneità sempre cangiante ed altrimenti ineffabile. Il flusso umano della fruizione (commodo populi) rappresenta la continuità reale ed autentica nella stratificazione storica del circostante (fori ornamento). Il conflitto tra performance e monumentalità storicizzata mette in gioco tempo scenico e tempo reale nel perseguire un arcano fine catartico. L’istorismo conservativo dettato da fontane zampillanti, del passato preserva il senso metaforico della ciclicità che inevitabilmente allude allo scorrere, al fluire, al circolare.
Il documentario, la performance, la progettualità, il reportage, il linguaggio cinematografico sono elementi che percorrono la stessa direzione nel lavoro di ZimmerFrei: cogliere la relazione tra uomo e spazio, tra tempo e sospensione, tra individuale e collettivo, tra privato e pubblico, tra reale e surreale. Le vicende dell’abitare, del fruire, del costruire, del ricreare, del vivere, del sostenere il genius spatii sfuggono a teorizzazioni o intenti divulgativi e si alimentano della loro spontaneità.
Nel concetto di spazio, sia esso caratterizzato da toponomastica e topografia definite o soltanto assunto per suggestione, continua ad essere platonicamente predominante l’ideale rispetto alla realtà, che colloca un’ecumene bioritmica su un’île flottante tra possibilità e necessità. L’umano mantiene l’anomalia della sua natura connessa con il movimento, rispetto al carattere immoto e irremovibile della perfezione.
In questo senso, nell’opera di ZimmerFrei la transumanza diventa simbolico transfert del popolamento, dell’appropriazione dello spazio, dell’ingabbiante idealità del concetto, della libertà, confine estremo oltre l’eracleo non plus ultra.
©ZimmerFrei
©Fabio Carnaghi